Quando capita di vivere per un periodo breve ma sufficientemente significativo della propria esistenza in un luogo, si assimila, insieme ai ricordi visivi, i più immediati, un’altra memoria, quella dei sensi, inconscia ma più profonda.
A Gatare si possono riconoscere principalmente 3 odori. Il primo è il più intenso, impossibile non distinguerlo, è quello che si portano addosso tutte le persone, che è ben di più, ben diverso dal semplice odore corporeo, perché mano a mano ti accorgi che in ognuno si distingue una fragranza costante, inconfondibile, che sa un po’ di vita nei campi, di patate e sorgo, di pelle sudata sotto il sole, di case buie di terra, di lunghi tragitti a piedi lungo le strade sterrate, di bestiame, di piedi scalzi consumati, di stoffe sgargianti, di fatica, di sorrisi timidi e di silenzi gravi.
Il secondo odore inconfondibile è però riconoscibile solo dai privilegiati che hanno potuto essere ospiti nella cucina e ai pranzi di Suor Rosa e delle suore, novizie ed aspiranti che, discrete, lavorano e vivono lì, a Gatare, nelle piccole cose e nell’immenso coraggio di ogni giorno.
E poi il profumo migliore, sebbene più vago e sottile, indefinibile: quello delle colline, della terra rossa, dei fiori sorprendenti che crescono spontanei, delle valli del tè di un verde così lucente che sembra brillare di un sole proprio, della foresta smisurata, della terra del Rwanda, che, nonostante ogni orrore, continua ad essere irrimediabilmente incantevole.
Quello che mi sono portata a casa è una mescolanza di tutti questi odori, di questi ricordi, di queste emozioni..
Ma, in realtà, (e a chi è capitato di tornare da un qualsiasi posto dell’Africa lo sa) è praticamente i impossibile riuscire a raccontare qualcosa solo con le parole. La prima cosa che ti viene in cuore di descrivere, sono i bambini. Bambini ovunque (davvero), che ti seguono dappertutto, sporchi, mezzi nudi, smoccolanti in qualsiasi occasione e a qualsiasi altitudine, che ti riconoscono e ti chiamano da due colline di distanza, bimbi piccoli e piccolissimi che interrompono qualsiasi attività per rincorrere la tua auto urlando agacciuppa! Con tutte le forze .
Bambini allegri, bambini di una tristezza viscerale, bambini lasciati a se stessi lungo le strade, bambini che abbattono alberi, bambine che tengono altri bambini. Chiedono, se sei bianco chiedono senza sosta, caramelle a Gatare, denaro, se sono in città. Non per forza belli, non per forza buoni, non per forza innocenti.. eppure sfiderei chiunque sia passato per Gatare a non commuoversi sentendo i canti dei bambini al patronage che, dopo ore di cammino a piedi nudi, nel freddo di 2500 mt di altitudine, hanno la forza inesauribile di ballare e gridare, con una luce in fondo ai loro nerissimi occhi, che non avevo visto mai.
L’impatto più duro è però il ritorno. Tornare nel tuo mondo con tutta la sua superficialità umana, l’ostilità, la rivalità di principio, la falsità dei rapporti è spiazzante, soprattutto dopo aver conosciuto persone di una forza e una semplicità senza uguali, come mamma Rosa, dopo aver vissuto in un’altra realtà e aver compreso che l’autenticità nelle relazioni umane, l’irripetibilità dell’incontro con l’Altro, siano la cosa più preziosa. E ti rimane solo una gran voglia di tornare e, di fare qualcosa…
Ho avuto poi la fortuna di vivere Gatare con quattro persone anomale, eccezionali, con cui l’alchimia è stata perfetta, al di sopra di ogni discorso, con cui le risa sono state ben più di quanto sarebbe lecito. Sono i compagni, gli unici con cui non serve tentare di raccontare o spiegare nulla, bastano uno sguardo senza parole che vale più di ogni ricordo o mal d’Africa, che è una finestra aperta verso Gatare.
Alice